Making a Murderer

Making a Murderer

Making a Murderer racconta l’incredibile epopea giudiziaria (ancora in corso) di Steven Avery un uomo accusato per due reati molto gravi in circostanze a dir poco controverse.

La vicenda è surreale...

Making a Murderer racconta l’incredibile epopea giudiziaria (ancora in corso) di Steven Avery, un uomo accusato per due reati molto gravi in circostanze a dir poco controverse.

La vicenda è surreale, degna di un romanzo di Kafka. E allo stesso tempo avvilente perché mette in evidenza l’impreparazione ed il conflitto d’interessi di polizia, giudici e avvocati coinvolti durante i processi, indipendentemente da ogni discorso sugli eventuali errori giudiziari commessi.

Vittima reiterata del sistema oppure maldestro e bipolare omicida?

Puntata dopo puntata, il tuo giudizio potrebbe spostarsi repentinamente da un opposto all’altro senza che te ne renda conto, ed è questo uno degli elementi più avvincenti dell’intera docuserie.

Se hai sentito parlare di Making a Murderer e vuoi saperne qualcosa in più prima di iniziarlo, oppure se vuoi vedere una serie che pone l’accento sulle ambiguità e sulla fallibilità del sistema giudiziario, ti trovi nel posto giusto. Qui troverai qualche input sulla trama, una recensione e alcune curiosità rigorosamente senza spoiler.

Making a Murderer

Genere:
Docuserie Docuserie
Sensazioni:
Suspense Suspense Riflessione Riflessione Informazione Informazione
Su:
netflix
Cast:
Steven Avery
Steven Avery
Brendan Dassey
Brendan Dassey
Dolores Avery
Dolores Avery
Allan Avery
Allan Avery
Jerry Buting
Jerry Buting
Kathleen Zellner
Kathleen Zellner
Barb Tadych
Barb Tadych
Ken Kratz
Ken Kratz
Pubblicato il: 24/07/2022
Aggiornato il: 23/03/2024

MAKING A MURDERER - TRAMA SENZA SPOILER

Wisconsin, Stati Uniti, 29 luglio 1985. Una donna di nome Penny Beerntsen, membro di una stimata famiglia di storici imprenditori locali nel settore dolciario, viene brutalmente aggredita e stuprata durante la sua corsetta quotidiana in riva al mare.

La donna, ritrovata in fin di vita sul luogo dell’abuso e salvata da una coppia di passanti, fornirà alla polizia una descrizione approssimativa delle caratteristiche fisiche del suo aggressore.

In mezzo ai diversi sospettati, Penny Beernsten riconoscerà l’artefice dell’efferato crimine ai suoi danni: si tratta di un tal di nome Steven Avery, un uomo con precedenti per furto con scasso, detenzione di arma da fuoco e maltrattamento di animali.

Al termine del processo, Steven Avery verrà arrestato per stupro, tentato omicidio e sequestro di persona.

E condannato a 32 anni di carcere.

Tuttavia, l’intera vicenda giudiziaria che porterà a questa sentenza pone sin da subito diversi interrogativi sulla correttezza dell’iter procedurale messo in atto dalla polizia locale.

A partire dal conflitto di interessi di Judy Dvorak, vice sceriffo della contea di Manitowoc, nonché migliore amica di Sandra Morris, a sua volta legata ad Avery da un rapporto di parentela condito da precedenti alquanto burrascosi.

I motivi degli aspri conflitti tra Steven Avery e la cugina risalgono ad un episodio avvenuto qualche tempo prima del processo Beernsten quando la Morris lamentava comportamenti inappropriati.

A detta della Morris, infatti, Steven Avery era solito masturbarsi in luogo pubblico davanti ai suoi occhi.

Dal canto suo, non riuscendo più a tollerare quella che a detta sua era soltanto una maldicenza, Avery pensò bene di pedinarla con l'auto, farla accostare sul ciglio della strada ed intimidirla imbracciando un fucile. Finendo in prigione.

Judy Dvorak, ovviamente a conoscenza di questo precedente, subito dopo aver raccolto la testimonianza di Penny Beernsten non esiterà a pronunciare: “A me sembra Steven Avery”.

Una congettura basata su valutazioni personali, approssimative, che si ripercuoterà su tutte le singole fasi delle indagini, a partire dal ritratto del sospettato disegnato in base alla descrizione della Beernsten.

Un disegno sospettosamente simile ad una foto segnaletica di Avery scattata anni prima durante uno dei suoi periodi di breve reclusione.

Dal canto loro, lo sceriffo Tom Kocourek ed il procuratore Denis Vogel cavalcheranno questa congettura.

In qualche modo la forzeranno, nonostante qualche perplessità sul fatto che Avery potesse essere davvero l’unico sospettato, come emergerà in seguito.

Subito dopo la sentenza, Steven Avery perderà i ricorsi a tutti i gradi e gli appelli.

Nonostante le sconfitte giudiziarie, rifiuterà di confessare il reato anche dinanzi alla prospettiva di uscire dal carcere con la condizionale.

Negli anni a venire, però, qualcosa inizia a muoversi, complice il progresso della tecnologia sul rilevamento del DNA.

Il caso verrà riesaminato più volte.

Prima nel 1994, senza particolari risvolti. Poi nel 2001, quando un nuovo test effettuato sui peli pubici ritrovati sul luogo della violenza scagiona Steven Avery da qualsiasi accusa e inchioda il vero colpevole: Gregory Allen, un criminale con diversi precedenti e già in galera per un altro caso di violenza sessuale.

Quindi, l’11 settembre 2003, dopo aver trascorso ingiustamente 18 anni di detenzione, Steven Avery torna ad essere un uomo libero.

A questo punto inizieranno ad emergere tutti gli errori commessi dalla polizia di Manitowoc. Verrà persino istituita la “Avery Task Force” contro le ingiustizie giudiziarie e diversi politici faranno di lui una bandiera ideologica.

Steven Avery diventa un personaggio pubblico e sfrutterà la popolarità acquisita per fare causa alla contea di Manitowoc richiedendo la cifra record di 36 milioni di dollari.

Tutto bene quel che finisce bene? Niente affatto!

Il 5 novembre 2005, a poco più di 2 anni dalla sua scarcerazione, Steven Avery si ritroverà coinvolto in un caso di omicidio.

Si tratta dell’assassinio di Teresa Halbach, una giovane fotografa ritrovata morta e smembrata nella sua automobile parcheggiata in prossimità dell’autodemolizioni della famiglia Avery .

Steven Avery rientrerà subito tra i principali sospettati in quanto ultima persona ad aver visto la 25enne prima della sua scomparsa.

Avery, infatti, aveva ingaggiato Teresa per realizzare uno shooting fotografico di un furgoncino da mettere in vendita su una rivista specializzata.

Da qui in avanti inizierà un’altra battaglia legale che vedrà coinvolto anche il nipote di Steven, Brendan Dassey, il quale confesserà la colpevolezza dello zio e la sua complicità nell’assassinio di Teresa Halbach al termine di un interrogatorio piuttosto controverso e dalle modalità discutibili.

Questa volta sarà davvero colpevole o potrà considerarsi vittima di un secondo errore giudiziario?

La serie mostra soprattutto il processo che vedrà frapposti il procuratore Ken Kratz e gli avvocati difensori di Steven Avery, ovvero Dean Strang e Jerome Buting, oltre ad immagini inedite e registrazioni vocali di Steven e la sua famiglia.

La seconda stagione, invece, vede protagonista l’avvocato Kathleen Zellner che insieme al suo team di legali e periti tecnici sta tutt’oggi portando avanti le ragioni giudiziarie di Steven Avery.

MAKING A MURDERER - RECENSIONE SENZA SPOILER

Ad un primo sguardo, Making a Murderer sembra una delle tante vicende di cronaca che vede un uomo forse innocente giudicato colpevole. Che nel migliore dei casi, ha scontato una pena di troppo. E che racconta un sistema giudiziario fallace, presuntuoso, che non dubita mai di se stesso e che tanto avrebbe ispirato il buon Kafka per come decide le sorti dei singoli pur presentandosi ai loro occhi come un'entità distante, quasi astratta.

A tratti, Steven Avery sembra l’esatta impersonificazione del signor K., l'alter ego letterario del famoso scrittore che ne Il Processo si lascia praticamente inghiottire dalla macchina processuale.

La subisce in ogni singola fase senza capire effettivamente quello che gli sta succedendo intorno, fino a trovarsi faccia a faccia con un destino tanto inevitabile quanto incomprensibile dalla sua prospettiva.

Allo stesso modo, Avery sembra consegnare il proprio destino nelle mani di giudici, giurati e avvocati sin dal primo momento. Anche durante il primo processo, quando la sua innocenza gli verrà riconosciuta con gravissimo ritardo.

Tuttavia, Making a Murderer non parla soltanto di questo.

Provando ad andare più in profondità, questa docuserie è anche la rappresentazione dell'eclissi del grande sogno americano. O meglio, è la cronaca di come il sogno possa trasformarsi in incubo.

La vicenda di Steven Avery, infatti, distrugge quell'alone riservato agli Stati Uniti di nazione che garantisce equità e giustizia per tutti.

E lo fa sul terreno più caro al patriottismo statunitense: quello delle libertà individuali.

A partire da quella privata a Steven Avery per ben 18 anni.

Uno strafalcione che va ben oltre al discorso dello sbaglio umano e che si radica nel contesto in cui si esprime l'intera vicenda, ovvero in una parte oscura degli States caratterizzata da degrado culturale e cattiva fede di poliziotti, procuratori e avvocati difensori.

Tra i tanti sottotesti di Making a Murderer ne emerge uno particolarmente classista: senza cultura non puoi difenderti dalle privazioni delle libertà.

Persino negli Stati Uniti, la patria delle libertà.

Steven Avery è un uomo dotato di scarsa cultura e intelligenza, così come il nipote Brendan Dassey.

E questa cosa la pagheranno entrambi a carissimo prezzo. Soprattutto Dassey, inchiodato da una confessione che assomiglia più ad una goffa interrogazione di un alunno palesemente impreparato che cerca di ripetere le domande del professore spacciandole per risposte pur di sbrigare frettolosamente la questione.

Atteggiamento tutt'altro che conveniente quando si tratta di un caso di omicidio e dall'altra parte trovi qualcuno disposto a crederti per archiviare rapidamente la pratica.

Dal punto di vista dello stile, Making a Murderer è un mix tra Un giorno in pretura ed un servizio de Le Iene senza voce fuori campo: si alternano immagini dei processi, registrazioni inedite dei diretti interessati e testimonianze dei familiari.

Insomma, da questo punto di vista sicuramente non è una docuserie innovativa, ma ci pensa la trama surreale a tenere alta l'attenzione dello spettatore.

D'altronde, la storia è così assurda che è praticamente impossibile non subirne il fascino. Il taglio narrativo, invece, non è imparziale ed è palesemente orientato in favore della versione di Steven Avery e dei suoi legali.

In definitiva, quello che resta alla fine di Making a Murderer è una sensazione di turbamento.

La speranza dell’errore giudiziario va di pari passo con l’auspicio che la sentenza abbia fatto giustizia.

Anche se la docuserie, soprattutto in alcuni passaggi, va intenzionalmente a punzecchiare quell' inconfessabile feticismo per il vittimismo insito in ognuno di noi, al punto tale che, senza rendertene conto, potresti ritrovarti a fare il tifo esasperato per un presunto omicida.

MAKING A MURDERER - CURIOSITÀ SENZA SPOILER

  1. Andrew Colborn, uno dei poliziotti di Manitowoc coinvolti nelle indagini del caso Beernsten, ha citato in giudizio la produzione di Making a Murderer perché la serie avrebbe intenzionalmente fatto intendere di aver incastrato Steven Avery.
  2. L’attuale avvocato di Steven Avery, Kathleen Zellner, ha messo una taglia di 100 mila dollari per chiunque riveli l’identità del vero assassino di Teresa Halbach.
  3. Le diverse mogli, la cognata e l’ex fidanzata di Steven Avery, Jodi Stachowski, lo hanno descritto come un uomo aggressivo e violento.
  4. Sembra che Teresa Halbach non fosse entusiasta dell’idea di recarsi presso l’autodemolizione Avery per effettuare lo shooting fotografico.
  5. Una delle filmaker della serie, Laura Ricciardi, prima di intraprendere la carriera di documentarista era un aspirante avvocato. Questa skill le ha permesso di raccontare con precisione e chiarezza tutti i risvolti legali dei processi.
  6. Secondo alcune indiscrezioni, sarebbe stato Steven Avery a convincere la famiglia a partecipare alla docuserie.
  7. A quanto pare, Steven Avery non avrebbe mai visto la serie.

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